Ocean Terminal

Ocean Terminal

Dramma, di Emanuele Vezzoli, Italia, 2020.
Ocean Terminal è il titolo del volume di Piergiorgio Welby pubblicato postumo e curato da Francesco Lioce: Ocean Terminal è un insieme di prose spezzate che si riannodano a distanza o si interrompono proprio quando sembrano preannunciare altri sviluppi: dall’infanzia cattolica alla scoperta della malattia, fino all’immaginario hippy e alla tossicodipendenza, passando attraverso gli squarci di una Roma vissuta nelle piazze o nel chiuso di una stanza. In un continuo susseguirsi di toni lucidi e febbrili, poetici e volgari, Welby riavvolge il nastro della propria vita, adottando un linguaggio babelico che colpisce per originalità e potenza. Da queste bellissime pagine, di rara intensità, di scavo interiore, sintesi letteraria dell’esistenza di questo importante intellettuale, pittore e fotografo, nasce l’idea e l’esigenza di far conoscere, attraverso il palcoscenico, chi fosse. Un condannato a vita in cui forte è il conflitto tra l’abbandono della speranza e l’inno alla vita, in un corpo che diviene ogni giorno di più un abito sgualcito che esprime l’insofferenza di colui che assiste da spettatore a un dibattito di cui è, invece, involontario protagonista.

Riuscirà mai qualcuno a conoscere il perché di questo titolo di una selezione di spezzoni di vissuto intenso? In vita Piergiorgio Welby le sue emozioni non le manifestava se non con grande discrezione. In Ocean Terminal Piergiorgio è riuscito a esprimere in parole la molteplicità di emozioni, dubbi, tormenti, paure, suggestioni, turbamenti, passioni. L’arte di Piergiorgio Welby è la capacità di esprimere in parole in modo armonioso ciò che agli altri voleva nascondere, per non pesare in modo emotivo su di loro. Non aveva forse inconsapevolmente lasciato questa eredità a persone sensibili? Come, infatti, lo ha incontrato, attraverso il suo libro, Emanuele Vezzoli, che con il suo corpo di attore sa parlare ai cuori delle platee? Nell’economia di un teatro contemporaneo, di un teatro di regia o di una riscrittura drammaturgica di un opera letteraria, la messa in scena del romanzo di Piergiorgio Welby Ocean Terminal rappresenta per un artista un momento di riflessione attorno ai mezzi e alla forme cui poter attingere per riuscire a restituire al meglio il nocciolo del pensiero dell'artista e il sentimento della condizione che egli si è trovato a vivere suo malgrado. La ricchezza del testo di Welby, la sua scrittura a tratti poetica, a tratti violenta, scabrosa, e spesso così musicale da ricordare una scrittura in versi, carica di immagini che si susseguono come in una sinfonia fitta di rimandi culturali, ricordi, sapori, odori, colori, ne fanno un terreno fertile per quegli attori e registi che volessero avventurarsi sulla strada della messa in scena, esattamente come accade quando ci si trova di fronte al testo di un autore classico. L’opera di Piergiorgio Welby sembra possedere tutte le caratteristiche adatte a poterla considerare una tragedia moderna dove la narrazione deve necessariamente essere agita in scena attraverso il corpo. La scelta di adottare un tavolo e un lenzuolo come elementi della scena nasce dall’esigenza di trovare un luogo dove focalizzare e confinare la rappresentazione del corpo negato di Piergiorgio Welby. Il tavolo è un piccolo palcoscenico nel palcoscenico e il suo perimetro rappresenta il confine invalicabile, la prigione, il limite imposto dalla malattia. Nel divenire della rappresentazione il tavolo assume diversi valori simbolici: è altare, casa, rifugio, letto per l’amore, letto di morte, letto d’ospedale, tomba, grembo materno. Il lenzuolo è ora tovaglia, sudario, pelle e bozzolo dentro il quale ha luogo la macabra metamorfosi del corpo colpito da distrofia.

LINGUA: italiano

Ocean Terminal